B. Sascha Horowitz
BREVE RICETTARIO UMANISTA
con alcune ricette per diventare più umano
dedicato a tutti coloro che cercano di crescere umanamente,
compreso ovviamente il sottoscritto
I N D I C E
1. Desiderata
2. Praescriptum
3. Informazioni
4. Elenco di alcuni temi possibili
5. Breve commento per temi ritenuti importanti
6. Alcuni esempi di temi e come è possibile affrontarli
7. Postscriptum
1. D E S I D E R A T A
Viktor E. Frankl, il padre della “Logoterapia” (per dirla con parole povere: una forma di psicoterapia che ha come fulcro la ricerca del senso della propria vita), creò a metà degli anni settanta il termine di “Biblioterapia”.
Con ciò, e di nuovo con poche parole, Frankl intendeva che certi libri (sia professionali che non),
certamente non erano sostitutivi di una psicoterapia, ma ciò nondimeno potevano creare situazioni di ricupero edificanti che rasentavano talvolta il miracoloso (come nel caso di certi patemi d’animo, conflitti interiori, o addirittura vere e proprie crisi esistenziali).
Personalmente ho già osservato e vissuto questo tipo di esperienza e non posso che confermare le
dichiarazioni di Frankl.
Da qui è nato il desiderio di proporre al lettore abituale (che quasi tutti siamo), uno strumento che
possa essere di una qualche utilità, così come lo è stato per me in passato e come lo è tuttora.
Non so se riuscirò in questo mio intento, anche perché il personaggio più importante in questo
genere di operazioni, e d’altronde in modo completamente imprevedibile, credo non sia tanto
l’autore, quanto la lettrice o il lettore, per le loro disposizioni e capacità con cui riescono a utilizzare lo strumento che hanno in mano, di qualsiasi genere esso sia.
Infatti molti anni or sono, un mio professore di pedagogia, decisamente autorevole, mi disse che
“se l’allievo non è il migliore, anche il miglior docente serve a ben poco!”
Il mio augurio sarebbe quindi che il lettore o la lettrice possano utilizzare questo stimolo, per
procedere creativamente nel perfezionamento dell’umanizzazione !
2. P R A E S C R I P T U M
Ogni ricetta contiene solitamente alcuni dati più o meno precisi, che non portano necessariamente a risultati altrettanto certi.
Se sfogliamo i ricettari di cucina, scopriremo presto e tra l’altro, sensibili differenze di metodo,
presentazione e indicazione delle misure.
Utilizzando come esempio soltanto quest’ultimo aspetto, ci renderemo presto conto che la cosa
non è così semplice:
1. la tazza d’acqua, di farina o di olio che si deve aggiungere, quanto è grande? Sono tazze da tè o
da caffè? Le mie sono da tisana, quindi contengono all’incirca due decilitri e mezzo: saranno troppi, non abbastanza, giusti?
2. Il cucchiaio di sale è un cucchiaio del tè o della minestra? I miei cucchiai della minestra sono
piccoli, quelli del tè assai grandi…(o peggio ancora quando sta scritto: “aggiungere del sale”)
3. Il pizzico di spezie è una cosa se ho le dita pesanti e un po’ grossolane come un camionista
(con tutto rispetto parlando), un’altra se le ho leggere e fini come quelle di una fatina…
Quindi e per favore non prendetemi troppo alla lettera, perché se le analogie non sempre calzano
alla perfezione, avrete senza dubbio capito di che cosa sto parlando, anche se ciò nonostante desidero sottolinearlo:
“Non c’è una ricetta che vada bene per tutti” e non soltanto:
se sbagliate qualcosa, magari va benissimo e il piatto sarà squisito, se invece seguite tutto a puntino, magari il pasto sarà indigesto!
Perché?
Sono tali e tanti i fattori che concorrono o si oppongono a che qualcosa riesca, che diventano
incontrollabili e soltanto l’esperienza e i ripetuti, più o meno intelligenti tentativi, possono talvolta
venir a capo di un problema gastronomico o esistenziale che sia!
Quindi:
d’accordo per le ricette, ma attenzione, sono soltanto dei punti di riferimento, degli stimoli per cominciare o continuare qualcosa che poi va adattato, variato, ricreato con attenzione, intelligenza e particolare impegno.
Talvolta la ricetta può anche sembrare ineccepibile, ma lo sarà forse soltanto dopo vari tentativi che la torta (o la consonanza con gli altri) riuscirà, avendo magari dovuto modificare qualcosa nonostante tutto affinché la ricetta riesca!
Se non è il caso vedete un po’ voi:
ci saranno pure dei parenti, degli amici, o al limite dei professionisti disposti a darvi una mano!
3. INFORMAZIONI
Slogan: “ Abbiamo bisogno di diventare più umani ! ”
Credo che questo assioma non necessiti ulteriori giustificazioni: basta guardare sé stessi, non molto lontano, oppure dare un’occhiata alla storia, non fosse che quella del secolo scorso (per non parlare dei millenni passati)!
Inoltre, visto come evolve questa nostra storia, non sembra che ne abbiamo tratto i dovuti insegnamenti: a quanto pare neppure coloro che molto probabilmente hanno più sofferto di altri!
Ecco perciò un ennesimo, anche se forse inutile tentativo di darci almeno una “manina”.
Il ricettario non avrà un ordine particolare, anche se comincerò con alcuni temi che mi stanno particolarmente a cuore e che ritengo fondamentali per iniziare o proseguire questo percorso.
L’ordine non avrà quindi un carattere “gerarchico”, già per il fatto che ognuno e in un dato momento del suo percorso, darà un’importanza diversa al medesimo tema, ragione per cui non è necessario chinarsi su quanto proposto nell’ordine dato: si può scegliere secondo l’interesse e la necessità del momento.
4. ELENCO DI ALCUNI TEMI POSSIBILI DA PRENDERE IN CONSIDER-AZIONE
N.B.
Nell’elenco dei temi, le definizioni che si trovano tra parentesi, non hanno la pretesa di essere dei sinonimi, ma ritengo che abbiano con i primi una certa parentela.
Desidero porre un certo limite al testo per non appesantirlo troppo.
Ricordo che vuol essere un “breve ricettario”, anche se per taluni forse non sarà tanto breve.
Rimane il fatto, che riuscire a realizzare soltanto una frazione di alcuni temi proposti, potrebbe già contribuire sensibilmente ad incrementare il nostro processo di umanizzazione.
Alla fine di ogni enumerazione e non in grassetto, cito anche il “Bastian contrario”, di cui sarà forse utile tenere conto per gli sgambetti che tenterà di farci!
1. Partecipazione – indifferenza (impegno – disimpegno)
2. Comprensione – incomprensione (conoscenza – ignoranza)
3. Sincerità – falsità (chiarezza – ambiguità)
4. Umiltà – superbia (modestia – presunzione)
5. Solidarietà – avversione (disponibilità – opposizione)
6. Cooperazione – competitività (aiuto – egocentrismo)
7. Equità – parzialità (rettitudine – ingiustizia)
8. Parsimonia – lusso (continenza – prodigalità)
9. Rispetto – disprezzo (riguardo – noncuranza)
10. Accettazione – rifiuto (tolleranza – preclusione)
11. Responsabilità – irresponsabilità (ragionevolezza – insensatezza)
12. Azione – reazione (creatività – ripetitività)
13. Sacrificio – lassismo (rinuncia – permissivismo)
14. Benevolenza – ostilità (amore – odio)
N.B. Avrei potuto cominciare la scaletta con questi ultimi aspetti, essendo loro probabilmente gli atomi costitutivi delle relazioni “fortunate o sfortunate” che l’essere umano stabilisce con sé stesso, gli altri, la vita: fattori che porta dentro di sé come potenziale, esprimendoli occasional-mente in modo più o meno felice, con tutti i benefici e i malanni che ne conseguono.
Questi fattori, sono la radice e il tronco di tutti gli aspetti elencati precedentemente, mentre la grande varietà delle caratteristiche umanizzanti (o disumanizzanti), sono come le ramificazioni della medesima pianta (o se preferite, le variazioni del medesimo tema):
Amore = a-mors, ossia a quale privativo di mors (= morte), quindi per la vita (contro la distruzione)
Odio = o come oppositivo a dio (= luce, simbolicamente parlando), quindi contro dio (ossia contro la luce, la vita e di conseguenza per la distruzione).
Si potrebbe ben inteso utilizzare pure le definizioni di Eric Fromm:
“Biofilia o Necrofilia”, che parlano di per sé, esprimendo il significato di predilezione per l’aspetto vitale (“Bio”, che ricorda pure un po’ “l’Élan vital” di Bergson), o viceversa quello mortuario (ricorda anche Tanatos della mitologia greca).
5. BREVE COMMENTO PER TEMI RITENUTI IMPORTANTI
(dodecalogo)
1. UMILTÀ (“chiave operativa d’accesso al percorso, perché come tutti quanti anch’io ho dei limiti notevoli e come tutti gli altri sono soltanto uno degli innumerevoli figli del creato”)
2. RISPETTO (“in ogni modo non valgo né più né meno di qualcun altro, quindi cerchiamo di
essere riguardosi”)
3. DIRITTURA (“mi comporto in modo corretto anche con un mio eventuale nemico”)
4. SENSIBILITÀ (“cerco di sviluppare la capacità d’immedesimazione nelle gioie e nei dolori,
nelle mie e nelle altrui azioni, per capirmi e capirli meglio”)
5. DISPONIBILITÀ (“nell’ambito delle mie possibilità mi sforzo di essere collaborante e
d’aiuto dove e come posso”)
6. ELASTICITÀ (“cerco di evitare i pregiudizi ed essere aperto alle diverse forme esistenziali che la vita sociale, mentale e comportamentale mi propone”)
7. SPIRITO DI RICERCA (“non mi accontento soltanto di elaborati culturali di terzi ma, secondo le mie possibilità, intraprendo le mie indagini sulla realtà che mi abita e mi circonda”)
8. TRASPARENZA (“mi sforzo di essere il più possibile aperto, sincero e non manipolatore nei confronti degli altri”)
9. COMUNICABILITÀ (“mi sforzo di essere all’ascolto di me stesso, dell’altro e del mondo per capire meglio e rendermi comprensibile in diversi modi per evitare al massimo i malintesi”)
10. GENEROSITÀ (“cerco di uscire dagli schemi mentali e comporta-mentali abitudinari per poter accogliere meglio il prossimo, senza volergli imporre il mio punto di vista nonché il mio modo di essere”)
11. SOLIDARIETÀ (“cerco di anteporre gl’interessi collettivi agli interessi personali, o perlomeno di parificarli”)
12. CONOSCENZA (“per capire devo conoscere, quindi scoprire e raccogliere informazioni esteriori o interiori che siano”)
6. QUALCHE ESEMPIO DI TEMI E COME È POSSIBILE AFFRONTARLI
(per coloro che desiderano approfondire il processo di umanizzazione)
1 PARTECIPAZIONE – indifferenza (impegno – disimpegno, investimento – disinvestimento)
1 Per poter entrare in un processo evolutivo (intendo con ciò un investimento in quelle caratteristiche che qualificano l’individuo umano come tale), devo dapprima essere partecipe di una tale dinamica.
Ora mi risulta che molte persone, non sono impegnate in un percorso di questo genere.
Le ragioni (o giustificazioni: Dante ne ha accennato nel suo “Convivio”), possono essere tante e variopinte, ma rimane il fatto che se questa via ci è indifferente, è lecito chiedersi in che modo si potrà riuscire ad inserirsi in una corrente di ricerca personale, indispensabile per umanizzarsi, poiché si tratta di un lavoro tipicamente culturale.
Chiamiamolo pure “androcultura” (da andros = uomo, esteso al concetto di essere umano in generale, a uomini e donne, giovani e anziani, nonché da “cultura” = da curare, coltivare, elaborare).
2 Ma perché fare questo sforzo di umanizzazione (poiché sforzo è !), perché investirvi delle energie?
Chiediamoci che cosa ci ha portato nel corso della storia l’essere disumani, se non disagi, prevaricazioni, sfruttamento, ostilità, violenze di vario genere, distruzioni, manomissioni della natura, sofferenze senza fine, morti premature in massa, insomma una coorte indicibile di strazi!
È ciò che veramente vogliamo, che nel nostro intimo desideriamo?
Non sarebbe possibile raddrizzare questo tragico decorso storico, invertendolo o perlomeno contenendolo al massimo?
Se la risposta è affermativa e, come la maggior parte degli individui penso che lo debba effettiva-
mente essere, questo ripristino può passare soltanto attraverso una nostra maggiore umaniz-zazione.
E perché non attivarla questa benedetta caratteristica, poiché siamo tutti figli ed ospiti di questa
terra, di questo immenso, terribile ma affascinante Universo!
Siamo tutti, chi più chi meno, fragili ma certamente mortali, interdipendenti tra noi e dipendenti
dalla natura.
Sarebbe quindi preferibile convogliare le nostre energie a fini costruttivi, necessari per tutti e di
cui la maggior parte dell’umanità rimane in gran parte privata.
Troppi dei nostri investimenti hanno obiettivi distruttivi o perversi, che servono apparentemente
soltanto a quei pochi che li sfruttano per ciò che credono essere il loro tornaconto personale, senza tenere conto dei disagi in cui si trova la maggior parte della collettività umana.
3 Ora, se non ho ancora iniziato questo lavoro (se sono soltanto all’inizio), o se finora sono rimasto indifferente a questo tentativo, come posso indurmi (sedurmi) a cominciarlo?
Potrei per esempio interrogarmi sul mio stato di soddisfazione per rapporto alla vita, sulla qualità
delle relazioni con me stesso e gli altri. Provo dei dissapori, sento delle dissonanze?
Qui si tratta di mettersi all’ascolto dei propri vissuti, di chinarsi su ciò che ci vogliono comunicare:
per riuscire a percepirli, sarà forse necessario appartarsi, fermarsi durante la nostra corsa attraverso il labirinto quotidiano, tacitare periodicamente (anche se soltanto per breve tempo) le preoccupazioni, i programmi che ci trascinano attraverso il fluire del tempo.
Questo per poter osservare i segnali che ci pervengono sia dai nostri sentimenti, dai nostri pensieri e sogni, ma pure dalle informazioni forniteci dagli eventi quotidiani, come pure dalle retroinformazioni (i feed-back) offerteci dagli altri, essendo queste spesso lo specchio del nostro modo di essere.
È importante non sorvolare i segnali, bensì di attardarsi ed interrogare la loro legittimità, anche se questa può talvolta sembrare imbarazzante, sgradevole, dolorosa (qui entra in gioco, oltre la sincerità verso gli altri, soprattutto quella verso sé stessi).
È altrettanto importante dire “pane al pane e vino al vino”, altrimenti parteciperemo a null’altro che un costrutto di falsità che a nulla servirà (o poco più) e non farà altro che fuorviarci dalla nostra adesione a un’indagine seria e all’eventuale trasformazione che potrebbe conseguirne…
Dobbiamo quindi interrogarci, essendo le domande come delle chiavi che aprono zone ancora poco esplorate, poco familiari, ma ciò nondimeno importanti per poter procedere sul percorso del nostro perfezionamento umano.
Inizialmente è nel porci dei quesiti sul nostro conto che dobbiamo investire delle energie per sviluppare la nostra attenzione, la nostra capacità percettiva (si dice perfino “propriocettiva”).
Le domande potrebbero rivolgersi al “come sono?” e “con questo modo di essere cosa ho raggiunto?” O ancora “con questa modalità dove potrei andare a finire?”
Nel dettaglio ci si potrebbe chiedere:
– Come sono stato in passato e questo dove mi ha portato?
Sono interessato al processo di umanizzazione, oppure preferisco dedicarmi ai fatti miei senza tenere conto degli altri, del benessere collettivo?
– Quali sono le mie caratteristiche principali?
Sono per esempio timoroso, reticente, fuggevole e che cosa mi spinge ad esserlo, oppure sono im-
pulsivo, avventato, temerario e come mai?
Sono tirchio e meschino, oppure riesco ad essere generoso, aperto e disponibile?
Sono rispettoso di me stesso, degli altri e dell’ambiente, oppure noncurante, indifferente, mene-
freghista?
Sono sincero, onesto, univoco, trasparente, oppure prevalentemente ipocrita, disonesto, ambiguo,
o magari imbroglione?
A questo punto è importante curare nella vita quotidiana gli aspetti costruttivi che si sono scoperti, togliendo a quelli distruttivi la nostra energia (che viene spostata un po’ come un investimento finanziario da un’operazione controproducente a una produttiva).
Rimane sottinteso che la nostra ricerca dovrebbe ovviamente tendere a chiarire il più possibile le
cause di certe alienazioni dal processo di umanizzazione, considerando quest’ultimo come un di-
venire costruttivo per sé e per gli altri.
Se le cause ci sono sconosciute, sarà più difficile togliere gli impedimenti dal nostro cammino.
2. COMPRENSIONE – incomprensione (conoscenza – ignoranza)
1 Come già accennato, , la comprensione, la conoscenza delle dinamiche in cui siamo implicati,
è fondamentale per la scelta e la messa in atto di eventuali modifiche.
Se non so, se non ho capito, almeno pressappoco, quanto mi succede e perché avviene, avrò po-
che possibilità di affrontare la situazione e di cambiare qualcosa.
Per dirla semplicemente e con parole povere:
se penso che la mia macchina non funziona, perché è difettosa la dinamo e non la pompa dell’acqua, se cambio la prima e non la seconda che è veramente carente, la mia automobile manterrà il suo problema e dovrò rivolgermi all’officina per risolverlo, soprattutto se non riesco a capirlo.
2 La comprensione e la conoscenza, pur non essendo la medesima cosa, sono strettamente legate
tra di loro e possono completarsi a vicenda:
se so, posso eventualmente includere (comprendere), anche se l’inclusione non segue necessaria-
mente il sapere.
Da un lato, questa separazione, quindi incompletezza del rapporto tra i due aspetti, può avverarsi
facilmente, ragione per cui il sapere rimane isolato, asettico e non serve all’inclusione, rimanendo
“esclusivo”, ossia privo di rapporto effettivo con la realtà concreta, che devitalizzata non è.
Dall’altro lato, è quasi impossibile accogliere veramente l’altro o capire un evento se si è disinfor-
mati, arrischiando di pregiudicare terzi oppure certi avvenimenti.
Non si tratta di privilegiare o minimizzare l’una o l’altra di queste funzioni, bensì di valorizzarle
ambedue, affinché possano sprigionare la loro ricchezza quando ognuna opera nell’ambito che
le spetta e si sostengono vicendevolmente.
Ma come si può procedere per conoscere, per comprendere?
Innanzi tutto penso sia importante “azzerarsi” di fronte agli aspetti che si vuole considerare, in
altre parole:
di assumere una posizione “neutra” in cui non si sa ancora, dove non si permette ai nostri schemi
mentali abitudinari d’interferire, guardando spassionatamente ciò che è situato nel campo della
nostra attenzione.
Se volete, si potrebbe definirlo uno stato di “verginità mentale”, in cui si tratta di accantonare per
un momento le nostre conquiste e sicurezze abituali, che spesso e in definitiva così certe non sono!
L’atteggiamento potrebbe essere quello del:
“Non so, ma desidero sapere, quindi mi do da fare!”
Tra l’altro, almeno due sono le chiavi importanti che ci possono servire per entrare nell’area
dell’informazione e alle quali ho accennato in precedenza, ma che vale la pena di riprendere ed
approfondire:
– quella dell’interrogazione, poiché le domande possono schiudere molte porte che danno
su aree ancora poco familiari.
Giustamente vi chiederete: – D’accordo, ma che domande devo pormi?
Dapprima e perché no, quelle che vi giungono spontaneamente, mettendovi all’ascolto di voi stessi e degli altri, perché spesso non dedichiamo sufficiente attenzione a questi due ordini di realtà, perdendo così preziose sorgenti cognitive!
Inoltre potete chiedervi (senza dimenticare di lasciarvi sufficiente tempo per ottenere delle risposte valide!):
– Ciò che sto considerando a modo mio, non potrebbe essere visto da un’altra prospettiva, magari
da quella opposta, oppure altrui?
– Poiché in passato ho avuto delle opinioni che forse non professo più, oppure si sono modificate,
non potrebbe darsi che potrei andare oltre l’idea che mi sono fatta in questi ultimi tempi?
O ancora, estendendo il concetto:
– la storia è tra l’altro un seguito di considerazioni erronee su tanti argomenti, progressivamente
rettificate e ancora rettificabili, non potrebbe darsi che anch’io subisco il medesimo processo e
che di conseguenza sarebbe il caso di essere più prudenti con le considerazioni affrettate che
spesso ci sommergono, soprattutto quelle decisive, sottoponendole a un’ulteriore, ripetuta e
attenta disamina, raccogliendo informazioni più variegate?
Senza dimenticare una domanda centrale:
– non sto forse accusando gratuitamente soltanto terzi o gli eventi per ciò che mi sta succedendo,
senza assumere la mia parte di responsabilità che forse ho pur sempre, contrariamente al punto
di vista attuale, anche perché è un atteggiamento quasi istintivo quello di addossare agli altri le
proprie manchevolezze?
E così potete continuare…
– La seconda chiave potrebbe essere quella dell’osservazione dei segnali, degli indizi
che ci giungono sia dall’esterno (dagli altri, dai fatti), che dall’interno (da noi stessi, con i nostri
sogni, pensieri ricorrenti, desideri, frustrazioni, illusioni, e altro ancora), soprattutto se tacitiamo
i nostri pregiudizi.
Qui vorrei spendere una parola sul pregiudizio, perché rappresenta un impedimento maggiore
per conoscere, per capire.
Infatti, le persone ed i fenomeni sono spesso difficilmente comprensibili, soprattutto a prima vista, ciò che può creare in noi un’incertezza e con questa dell’ansia, vale a dire una sgradevole tensione interiore che può sfociare in una vera e propria sofferenza, legata in particolare a dei timori di varia natura (come di essere aggredito, svalorizzato, sfavorito, escluso e così via)
Da qui il bisogno di rassicurarsi, per esempio conquistando rapidamente i dati necessari per poter
far fronte alle situazioni e padroneggiarle.
Sviluppiamo così la tendenza ad accelerare i tempi nel processo di valutazione, pre-giudicando
(giudicando pre-maturamente) i diversi aspetti in campo.
Ed il “male” è fatto, ovvero mal-intendiamo la realtà che stiamo fronteggiando, con tutte le conseguenze che ciò può implicare.
3 Per quanto concerne gli esercizi, alcuni accenni sono già stati fatti nel secondo paragrafo
di questo tema, per esempio in merito alle domande che ci si potrebbe porre.
Nella prassi quotidiana, si potrebbe esercitare soprattutto l’ascolto dell’altro, oltre che di sé stesso,
perché l’ascolto non dev’essere semplicemente un fenomeno uditivo, bensì uno sforzo di comprensione (tanto di sé, degli altri e degli eventi).
Per essere veramente all’ascolto, bisogna imparare ad azzerare le proprie opinioni abituali, i propri desideri, le intenzioni personali, in altre parole non si deve voler far passare a tutti i costi ciò che si è, quanto si sa e quel che si vorrebbe che fosse, rimanendo aperti a ciò che ci è offerto dall’esterno (e se siamo attenti ci potremo rendere conto che non è poca cosa!)
Per fare ciò è importante controllare la propria tendenza a voler sentenziare in modo precipitoso,
a voler dimostrare che si sa e il valido ruolo che abbiamo assunto nella vita e che perciò siamo
“belli, buoni e forti”!
Inoltre, cerchiamo di non disprezzare “l’ignoranza” altrui, perché l’ignoranza può in ogni momento trasformarsi in conoscenza (soprattutto quando l’ignoranza è sostenuta e accompagnata da uno sforzo di ricerca), mentre ciò che supponiamo essere il risultato di una nostra conquista cognitiva, potrebbe avverarsi essere pura e semplice ignoranza!
E così si può procedere con altri temi, almeno con quelli precedentemente elencati !
7. P O S T S C R I P T U M
Vorrei concludere con due detti orientali (molto probabilmente della tradizione Zen) e uno occidentale (salvo errore di Socrate), che ritengo importanti per coloro che stanno iniziando il cammino, ma anche per coloro che magari lo stanno già percorrendo:
1 “In tal caso novanta sono da considerarsi la metà di cento miglia”
2 “Se cerchi il Budda e non lo trovi continua a cercarlo,
se cerchi il Budda e credi di averlo trovato,
fuggi al più presto e continua a cercarlo”
3 “Oggi abbiamo cercato la verità ma non l’abbiamo trovata,
domani continueremo quindi a cercarla”
Per dire evidentemente che esiste un tranello, che sarebbe quello di credere, pensare che siamo
arrivati a destinazione, che abbiamo realizzato, che possiamo sederci tranquilli e godere dello
sforzo intrapreso, o che ancora poco basta, che non abbiamo più nulla da apprendere e-o
intraprendere, che abbiamo già percorso tutto l’itinerario necessario per giungere a buon fine,
come se ci fosse un punto finale per un percorso del genere !
So long, I am around…
Fine della monografia…
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