“L’Albero…”, dei Rosacroce del 16°/17° secolo

“C’È  UN  UNICO  ALBERO  CHE  PORTA  DUE  SPECIE  DI  FRUTTI”

testo del 16-17° secolo verosimilmente dei Rosacroce:
anche se non è farina del mio sacco, lo inserisco nelle “Monografie”
perché lo ritengo un testo particolarmente interessante che non è facile trovare!
(Il seguente testo è un tentativo di traduzione dal tedesco e dallo spirito dell’epoca)

“Il suo nome è:

“L’ALBERO  DELLA  CONOSCENZA  DEL  BENE  E  DEL  MALE”

e come il suo nome, così sono i suoi frutti, buoni e cattivi, di vita e di morte, di amore e di odio, di luce e di tenebre.
Quest’albero fu presentato ad Adamo nella sua innocenza e benché egli avesse la libertà di considerarlo come l’albero dei miracoli di Dio, tuttavia l’interdetto divino non permetteva che Adamo vi riponesse la sua cupidigia e assaggiasse i suoi frutti, poiché ne sarebbe morto” (da intendere come “morte dell’anima” similmente in Dante, n.d.t.):

“Ah quanto a dir qual era è cosa dura
        esta selva selvaggia e aspra e forte
        che nel pensier rinova la paura!

Tant’è amara che poco è più morte;
         ma per trattar del ben ch’io vi trovai,
         dirò dell’altre cose ch’i’ v’ho scorte.”                             (Dante, Commedia: Inf. I, 4-9)

“Infatti è l’albero della scissione, dove il bene e il male si combattono l’uno con l’altro. Ma la vita non può perdurare nel conflitto, perché il conflitto crea fratture e queste provocano la morte, mentre la vita permane nella dolce unità dell’amore…
(per inciso, quest’ultima locuzione è caratteristica per il misticismo, n.d.t.)
Ragione per cui, quando Adamo ebbe assaggiato il frutto di quest’albero, prese inizio in lui il conflitto ed in questo conflitto perse la vita (dell’anima: n.d.t.)

Tuttavia, il misero essere umano, non vuole rinsavirsi per questa caduta e questo danno. La sua cupidigia tende sempre verso quest’ albero ed i suoi frutti. Egli vuole la dispersione, la molteplicità ed è perciò sempre in conflitto, mentre potrebbe raggiungere la tranquillità (“serenità” è preferibile perché è un concetto legato alla luminosità, n.d.t.), se fosse disposto a rientrare nell’unità della semplicità.

La Luce della Vita sta nel Centro, affinché mostri all’essere umano la via verso la Pace Iniziale, dove il Padre dei Cieli lascia sorgere i suoi Soli sul bene e sul male:
però ognuno cresce a modo suo e l’essere umano è più disposto a considerare le stelle della molteplicità, che sceglie come guide a partire dai suoi preconcetti, anche se queste lo distraggono dalla vera Luce, trattenendolo nei vortici dell’incertezza.

Così egli si allontana vieppiù dalla luce interiore verso quella esteriore, senza poter trovare in questo modo una dimora di pace a meno di riorientarsi dall’esterno verso l’interno, per cercare la sorgente da cui hanno preso inizio tutte le piccole luci.” (“Metanoia”, n.d.t.)
“Infatti:
tra le 7 stelle, difficilmente una dirige i raggi verso l’interno, in modo che la mente scrutante possa dirigersi verso Betlemme (Beit-Lechem la Casa del Pane, ma al tempo stesso della Vita”, n.d.t.) e dei 7 occhi che si contorcono nel vortice della bramosia, difficilmente uno è ri-volto verso il Schabat interiore (leggi Scia-bat, o Sch alla tedesca, Sh all’inglese, n.d.t.), in modo da poterlo scoprire, mentre l’irrequieta agitazione dell’indaffararsi quotidiano, li spinge attraverso tutte le sfere.”
(Schabat = la festività settimanale ebraica, corrispondente al 7° giorno simbolico della Creazione, quindi in una traduzione personale dall’ebraico ma linguisticamente coerente si potrebbe leggere “Bat-Scheva”, “la Figlia del 7”, ossia della Creazione:
“E Iddio benedisse il settimo giorno e lo santifiò; perciocché in esso si era riposato da ogni sua opera che egli aveva creata ” Vecchio Testamento, Genesi, 2,3).
N.B. Questo stato di “riposo” potrebbe corrispondere simbolicamente e tra l’altro a ciò che si cerca di raggiungere nello stato meditativo atematico, n.d.t.)

“Pur rivolgendo lo sguardo ai miracoli divini, essendo però diretti verso l’esterno, li vedono soltanto dal di fuori e ogni occhio ammira quindi soltanto ciò in cui ha riposto la sua cupidigia.
L’essere umano è stato creato da Dio per un Schabat perenne, senza che avesse ad agire per conto proprio, ma che lasciasse agire Dio dentro di sé (potrebbe corrispondere verosimilmente alla cosiddetta “non-azione”, al Wu-Wei dei taoisti, ossia degli “alchimisti” cinesi, non con il significato del  “dolce far niente”, bensì quello dell’agire in modo impersonale a partire dalla situazione che si presenta, non dal proprio tornaconto, ma dalle esigenze situazionali, n.d.t.)
Non doveva prendere qualcosa con le proprie mani, bensì essere soltanto ricettivo per ciò che dalla bontà divina gli veniva generosamente offerto.
Ciò nonostante egli abbandonò il Schabat  e volle agire per conto proprio, allungando la mano contrariamente al comandamento, per carpire nella sua avidità ciò che non gli spettava, ragione per cui Dio lo lasciò cadere (“errare”, vedi in Dante:”…che la diritta via era smarrita.” Inf. I, 3).

Poiché aveva disprezzato la quiete, dovette provare l’affanno con dolore.
Nell’agitazione della loro vita autonoma, i figli dell’essere umano tendono costantemente le loro mani e vogliono carpire ciò che permette loro di realizzare i loro piaceri, ma a secondo di come saranno sorretti dalla ragione e dalla volontà, di conseguenza sarà il raccolto.
Qualche mano coglie il bene, qualche altra invece il male.
Alcune raggiungono il frutto, altre soltanto le foglie, altre ancora i rami con foglie e frutti.
Ognuno si compiace con ciò che ha raccolto, senza capire che si tratta soltanto di uno “Studium particulare”.

Così vengono colti soltanto frammenti, mentre si potrebbe realizzare il tutto.
Gl’individui cercano la pace, ma non la trovano perché la cercano esternamente nell’irrequietezza dell’azione, mentre essa dimora nel silenzio interiore del Centro cosicché, anche se qualcuno raccoglie più degli altri, questa rimane ugualmente opera parziale.

Talvolta, tra 7 mani, qualcuna si avvicina al mistero, afferrando il tronco dell’albero in quel punto, dove la separazione divergente dei rami ritorna nell’unità. Però, essendo ancora lontana dalla radice, coglie e tocca il mistero soltanto dall’esterno, senza vederlo chiaramente dall’interno. Perché la radice di quest’albero, che passa tra le sfere frammiste di bene e di male del mondo visibile, affonda nelle sfere del mondo invisibile, dove luce e tenebre riposano in sé stesse e viene capita soltanto dall’Occhio della Saggezza, collocato al Centro di tutte le sfere.
(N.B. È probabile il nesso con “Il Terzo Occhio” di alcune tradizioni esoteriche e che rappresenta “lo sguardo olistico”, ossia la facoltà di vedere l’integralità personale, situazionale, collettiva e universale, n.d.t.)

Quest’Occhio contempla nella più grande tranquillità il miracolo di tutti i movimenti e vede attraverso tutti gli altri occhi che fuori dalla calma vagano nell’irrequietezza e questo senza voler riconoscere il vero Occhio della Saggezza, dal quale hanno pur ottenuto la loro capacità percettiva.
Quest’Occhio può esaminare tutti i punti di vista, per quanto comprensivi, puri e acuti possano essere e capisce da dove provengono il Bene e il Male.
Luce e tenebre gli sono palesi.
Tempo ed eternità, il visibile nonché l’invisibile, presente e futuro, terreno e celeste, corporeo e spirituale, alto e basso, esteriore ed interiore vengono da lui capiti senza che ne rimanga turbato, poiché risiede nel Centro della Pace, dove tutto permane nell’equilibrio al di fuori del conflitto.
E ciò che quest’Occhio vede, lo possiede (inteso molto probabilmente “in modo cognitivo, per identificazione” n.d.t.).

Perché nel Centro della Pace risiede il Trono Reale a cui tutto è sottoposto.
Ragione per cui, caro essere umano,  se vuoi giungere alla retta ragione ed alla giusta Pace, tralascia di operare per conto tuo e lascia che Dio operi in te, in modo che possa aprirsi in te l’Occhio della Saggezza, per giungere così dallo “Studio particolare a quello universale” e trovare tutto nell’Uno.

*          *          *

N.B.
1.  La “Confraternita della Rosa+Croce” è stato un movimento di tipo frammisto, a carattere mistico-iniziatico-umanista dell’inizio del 17° secolo. con prevalente collocazione in Germania e con un ipotizzato personaggio centrale in Johann Valentin Andreae, teologo e probabilmente alchimista, ma comunque accertato figlio di alchimista, che però si è poi autodistanziato dal movimento.
Il movimento stesso ha creato parecchio subbuglio in Europa con l’apparizione di alcuni testi di rilievo quali:
la “Riforma generale ed universale di tutto il mondo”, la “Fama Fraternitatis”, la “Confessio Fraternitatis”, che si suppone siano stati redatti da un gruppo che ha cercato di rimanere anonimo, anche se ne sono conosciuti alcuni nominativi.
Questo vale meno per “Le nozze chimiche di Christian Rosenkreutz” nonché “Christianopolis”, ambedue attribuite a J.V. Andreae.

2. Le cosiddette istituzioni rosacruciane moderne, per esempio le più attive come “A.M.O.R.C.” (l’Antico Mistico Ordine della Rosacroce), il “Lectorium Rosicrucianum” e “The Rosicrucian Fellowship”, temo non abbiano molto a che vedere con la purezza ideologica e il disinteresse finanziario del movimento originale del 17° secolo che, in tanto quanto corrente iniziatica e con molta probabilità, è stato almeno parzialmente integrato nella Massoneria “moderna” di tipo prevalentemente simbolico, nata suppergiù nel medesimo periodo del primo quarto del 17°  secolo (puro caso?)

Ma per concludere “in bellezza”, il solito ma sibillino detto Zen

che  avevo dimenticato, ma ritrovato “casualmente” tra i miei libri e che cito perché ha a che fare con la giungla nella quale pare si sia smarrita la nostra civilizzazione (“per una selva oscura” Dante: Inf. I,2) ma pure la corrente rosacruciana, oltre ad altre correnti iniziatiche più diffuse e conosciute…

Tutto è come è.
Questa non è saggezza, bensì verità.
Come si può cambiarla?
Cambiandola!
Dopo di che, pure allora tutto sarà di nuovo così come è.

          *          *          *

So long, I am around…

Fine della “Monografia”

P.S.  Se qualcuno dovesse chiedermi la sorgente bibliografica del testo, con la migliore volontà del mondo non glielo saprei dire, perché a metà circa del secolo scorso, ovviamente da giovane ventenne, ho avuto tra le mani un librone, senza indicazioni di autore o di editore, pieno zeppo di simboli e commenti, tra i quali il presente testo che mi colpì a tal punto che, prima di vendere il libro a un antiquario perché avevo bisogno di soldi per un viaggio importante, lo copiai a mano, conservandolo fino a quando sono riuscito a trasferirlo prima su una macchina da scrivere ancora poco computerizzata, poi in un PC vero e proprio…



About the Author

Beni Sascha Horowitz
Nato e cresciuto a Lugano (Svizzera, per chi non lo sapesse c'è anche una Lugano in Italia), ho studiato a Ginevra musica, psicologia e psicologia del lavoro (efficiency), pedagogia e pedagogia curativa. Ho praticato a Basilea e Lugano psicologia clinica e psicoterapia di tipo psicodinamico (avendo seguito un "Training psicoterapeutico) , ma indipendentemente da "Scuole", all'interno di Servizi Medico-Psicologici. Ho partecipato ai Corsi per Adulti in tanto quanto animatore di alcuni corsi tra il quali il Tai Chi Chuan, Rileggiamo Dante, I Miti del passato e l'uomo moderno, Il Diario personale creativo, Alla ricerca della propria identità, Psicologia e vita quotidiana, ecc. Sono rimasto sensibilmente influenzato dal Taoismo cinese e dallo Zen giapponese, senza pertanto diventare un "fedele seguace". Ho iniziato i tentativi di scrittura dopo il pensionamento. Ora sto cercando di proporre poco a poco alcuni miei scritti... Per eventuali chiarificazioni, sono raggiungibile tramite l'indirizzo e-mail: [email protected]

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